Bels douz amics, eu vos ren merce gran

De la honor qu’aves faicha per me

A las dompnas ; e non failletz de re.

 

Lanfranco Cigala

un giudice genovese che poetava in provenzale

 

 

Mentre in tutta l’Europa Occidentale gli imitatori dei poeti provenzali illustri usavano come strumento della loro espressione letteraria il volgare locale, nella vicina area genovese, Lanfranco accettava non soltanto i temi e gli schemi artistici dei trovatori, ma anche l’uso della loro lingua. Una lingua divenutagli familiare durante i viaggi in Provenza quale rappresentante diplomatico del Comune o in qualità di semplice uomo d’affari. Il suo provenzale era estremamente corretto ed usato con tale disinvoltura da far ritenere che Lanfranco abbia avuto a che fare con quella lingua ancor prima di recarsi in Provenza. Dovette impararla leggendo e studiando i canzonieri che circolavano a Genova all’interno di quel gruppo di appassionati che costituiva il più importante cenacolo trobadorico d’Italia. Si trattava di borghesi, per lo più giuristi di mestiere, quali Bonifacio Calvo, Lucchetto Gattilusio, Percivalle e Simone Doria che riconoscevano in Lanfranco il loro capo indiscusso. S’incontravano in casa di Lanfranco per leggere e commentare le rime dei più famosi esponenti della lirica provenzale. Erano momenti di pausa che interrompevano piacevolmente il corso della vita impegnata nel lavoro, in cui ognuno di loro amava declamare le proprie composizioni, vagheggiando nobildonne bellissime e corti sfarzose.

A Genova, nella prima metà del secolo XIII, i membri della famiglia Cigala erano numerosi e potenti, ed abitavano quasi tutti in una loro contrada situata in prossimità della ripa maris, dominata da quella che nei documenti dell’epoca viene chiamata domus Lanfranci Cigale et fratrum, una casa signorile che si fregiava di un bel portico ombroso dove rogavano i notai di fiducia della famiglia. Esiste tuttora a Genova un "caruggio", intitolato Vico Cicala, che unisce Sottoripa a piazzetta S.Pancrazio e c’è anche una lapide infissa sulla casa in cui si ritiene abbia abitato il poeta.

Guglielmo Cigala, padre di Lanfranco, come gli altri membri delle famiglie di antica nobiltà consolare, non disdegnava di prendere il mare per seguire di persona le lucrose spedizioni mercantili negli scali dell’Africa Berbera. Tanta era la potenza economica e la considerazione raggiunta dalla famiglia, che Guglielmo non esitò a chiedere l’intervento del papa per far sì che uno dei suoi figli venisse ammesso fra i canonici della cattedrale di San Lorenzo. Nella lettera di raccomandazione, il papa si profonde in lodi sperticate e non esita ad affermare che Guillelmus et sui sono de potentioribus eiusdem civitatis, il che fa supporre che i Cigala fossero di sicura fede guelfa e che il pontefice, allora impegnato nella lotta con l’imperatore Federico II, cercasse di rafforzare la presenza dei suoi fedeli nei posti-chiave della città. Quando l’età avanzata gli impedì di scorrazzare per il Mediterraneo, Guglielmo Cigala, da buon capitalista, si diede a grossi investimenti e a speculazioni su mercanzie da collocare sul mercato di Tunisi, e riuscì a mettere da parte una vera fortuna in case e terreni che, alla sua morte, passarono al primogenito Lanfranco e ai suoi fratelli.

Difficile stabilire la data di nascita del poeta, poiché i documenti in nostro possesso riguardano la sua attività politica di uomo già maturo. Sappiamo per certo che a partire dal 1235 Lanfranco Cigala iudex et legisperitus, prese parte attiva al governo guelfo della città. La sua fama di poeta esperto conoscitore della lingua provenzale fecero sì che nel mese di luglio 1241 fosse inviato dal Comune come ambasciatore presso Raimondo Berengario conte e marchese di Provenza, con il compito di convincere il conte a non concludere pace con l’imperatore, senza il preventivo consenso di Genova o del pontefice. Il soggiorno in Provenza si protrasse più lungo del previsto, poiché il nostro poeta non aveva nessuna fretta di far ritorno a Genova. Era quella un’occasione unica, per uno che amava la lirica trobadorica, e approfittò di quel soggiorno per stringere amicizie importanti, come quella con il poeta tolosano Guglielmo Montanhagol. Appartengono a questo periodo, probabilmente, quei suoi componimenti in cui dipinge la donna come entità eterea e spirituale oggetto di estatica adorazione, in una visione che fa presentire i modi stilnovisti.

Quando fece ritorno in patria, dovette occuparsi di delicati affari per conto del Comune, impegnato con tutte le proprie forze a sostenere il papato contro l’imperatore. Nel 1243 Lanfranco fu uno degli octo pro Comunis introitibus recipiendis et expendendis e nel 1248, l’anno della disfatta di Federico II e del trionfo della parte guelfa, esercitò la funzione di giudice in qualità di Console di giustizia de versus burgum. In mezzo a tanti impegni politici e giudiziari, però, ebbe l’opportunità di respirare per un po’ l’aria profumata di Provenza allorché, quale esperto della lingua e delle usanze provenzali, fu tra i principali organizzatori della cerimonia di accoglienza con la quale si volle solennizzare da parte dei Genovesi la conclusione di un patto d’amicizia con la gente della città di Grasse. In quegli ultimi anni si era arrivati al momento più terribile di quella sanguinosa lotta fra Chiesa ed Impero che aveva provocato laceranti divisioni in tutta la cristianità. Forse è questo il motivo per cui nelle poesie di Lanfranco d’intonazione politica troviamo l’espressione di una grande sofferenza per le discordie che affliggevano l’umanità.

Se il padre Guglielmo aveva privilegiato i traffici con Bugia e con Tunisi, i suoi eredi, riunitisi in una sorta di società mercantile a carattere familiare (comunitas domus), preferirono gli scali di Ceuta ed i mercati della Corsica e dell’Oltremonte. Lo stesso Lanfranco, messe da parte sentenze e poesie, dovette partecipare a queste imprese mercantili e non mancò di raggiungere i fratelli a Ceuta, quando questi gli chiesero di scortare sin là una grossa partita di lacca, merce assai richiesta in quel momento. Apprendiamo, infatti, da un rogito del 1248 che il nostro poeta non esitò a partire alla volta di Ceuta sulla nave Leopardus, quantunque la nave fosse stata varata da pochissimi giorni e ancora non si sapesse se avrebbe retto alla traversata.

La società dei Cigala, nella quale ben presto furono associati anche gli affini imparentati per effetto dei matrimoni, era specializzata nella vendita della lacca importata dall’estremo Oriente, ma trattava anche tessuti e pellami di pregio, non soltanto con l’Africa ma anche con la Francia. Lanfranco e i suoi ebbero numerosi contatti con la corte di Luigi IX re di Francia allora impegnato nei preparativi della crociata. Il nostro poeta, da buon Genovese, non si limitò a comporre per il re due Chansons de Croisade che contribuirono alla propaganda dell’impresa ed incrementarono il bilancio delle elemosine, ma gli diede anche un aiuto più prosaico prestandogli la bella somma di 1400 tornesi. Furono i Cigala a vendere la nave Lombarda che Ugo Lercari, ammiraglio di re Luigi, portò alla crociata, e sempre i Cigala noleggiarono al re la nave Paradisus al tempo della tragica impresa di Tunisi.

Nell’ultima parte della sua vita, il poeta entrò in contatto, forse ad opera del fratello Iacopo, canonico della cattedrale, con persone ed ambienti ecclesiastici e ciò ebbe grande influenza sulle sue poesie. Dopo i canti amorosi e politici, che trovano alimento nelle passioni, troviamo ora composizioni in cui prevale la riflessione pacata e saggia dell’uomo maturo che si volge alle cose dello spirito e che anela a quella Verità che non inganna e non delude mai.

Lanfranco cessò di vivere il 22 giugno 1258. Gli sopravvissero la moglie Safiria, il figlio Pietro, avviato alla carriera ecclesiastica, la figlia Caterina in tenera età, i fratelli Oberto e Nicoloso e la madre Sibilia.

Fra le carte dell’Archivio Capitolare della cattedrale si trova tuttora l’annotazione di un lascito di 50 lire di genovini pro anniversario suo perpetuo faciendo.