Folchetto di Marsiglia era nato a Genova?
di Carlo Carosi 

Folco mi disse quella gente a cui/ fu noto il nome mio 
Dante Alighieri, Commedia, Purgatorio IX
   
 Il celebre poeta provenzale, nato nella seconda metà del XII secolo e morto a Tolosa nel 1231, secondo la tradizione, pur appartenendo ad una famiglia di origine genovese sarebbe stato marsigliese di nascita. In realtà i soli elementi su cui si fonda la tradizione sono in sostanza quelli tratti dal testo dantesco che a nostro parere si presta a ben altra interpretazione.
 Vediamo di analizzare il racconto che Dante mette in bocca al celebre trovatore in queste poche terzine del canto IX del Paradiso. Sono quasi elementi di un “rebus” che cercheremo di risolvere. 
90 Di quella valle fu’ io litorano
tra Ebro e Macra, che per cammin corto
parte lo Genovese dal Toscano.
93 Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede e la terra ond’io fui,
che fé del sangue suo già caldo il porto.
 
 La valle di cui Folchetto asserisce di essere stato litorano, ossia rivierasco, è il Mediterraneo e precisamente quel tratto di costa che si estende tra la foce dell’Ebro e quella della Magra, il fiume che per un breve tratto (per cammin corto) divide la Liguria (lo Genovese) dalla Toscana. Si vuole alludere, cioè, a quel lungo arco che si affaccia sul Mediterraneo a partire dal capo Tortosa in Catalogna sino a Punta Bianca a sud-est del golfo della Spezia. 
 Questo è il primo elemento del nostro “rebus”. Non c’è alcun dubbio, quindi, che secondo Dante il nostro Folchetto, in qualche modo, abbia avuto a che fare con la Liguria, visto che lo spazio geografico di cui sarebbe stato litorano, si estende sino alla foce della Magra. Non risulta da nessuna fonte, d’altra parte, che Folchetto abbia mai soggiornato in Liguria, poiché la sua vita, per quanto ne sappiamo, si svolse per intero in Provenza, in Linguadoca ed in Spagna. Perché l’Alighieri avrebbe fatto asserire a Folchetto d’essere stato litorano anche della Liguria? Secondo la tradizione, perché la sua famiglia era originaria di Genova. Noi pensiamo, invece, che Folchetto stesso sia nato a Genova, il che trova conferma in altri  decisivi elementi che ci accingiamo ad esaminare.
 Folchetto precisa, nei versi successivi, che il suo luogo di nascita (la terra ond’io fui) si trova quasi sullo stesso meridiano, ossia ha quasi lo stesso tramonto (occaso) e lo stesso levar del sole (orto) della città di Buggea (l’odierna Bougie o Béjaia, in Algeria: la Buçeam ricordata spesso nei cartulari dei notai genovesi medievali). E’ sufficiente consultare la “carta pisana”, la più antica carta nautica giunta sino a noi, conservata a Parigi, presso la Bibliothèque Nationale, per rilevare come in questo documento, ritenuto di scuola genovese e databile alla seconda metà del secolo XIII, la linea del meridiano di Bougie corrisponda ad un punto della costa ligure situato fra Savona e Genova. Del resto l’Alighieri stesso, con quel suo quasi, sembra aver voluto sottolineare la natura approssimativa di tutte queste indicazioni geografiche. Di nessun pregio è l’affermazione secondo cui nelle moderne carte geografiche il meridiano di Bougie corrisponde a quello di Marsiglia, poiché naturalmente dobbiamo fare riferimento alle cognizioni geografiche del tempo di Dante che, come abbiamo visto, si discostavano parecchio non soltanto da quelle dei nostri giorni ma anche da quelle della fine del secolo XV. La cartografia nautica del Duecento si limitava per lo più alla descrizione minuziosa delle coste e si esauriva nei portolani. Furono in séguito le grandi scoperte geografiche che promossero un radicale rinnovamento della cartografia, favorito anche dal progresso delle varie discipline scientifiche. 
 Passiamo adesso ad un altro elemento del “rebus” dantesco. Dobbiamo analizzare l’ulteriore precisazione di carattere storico cui si riferiscono i versi di Dante, ossia l’episodio in occasione del quale le acque del porto della città natale del trovatore si scaldarono col sangue dei suoi abitanti (fé del sangue suo già caldo il porto).  Si tratta a nostro avviso del rinvio ad un passo della Chronica Civitatis Januensis - ab origine urbis usque ad annum MCCXCVII, di Jacopo da Varagine, il celebre autore della Legenda aurea, opera che l’Alighieri, come del resto la maggior parte dei suoi contemporanei,  doveva conoscere assai bene. E’ il brano in cui Jacopo da Varagine descrive la strage che fecero in Genova i Saraceni quando nel 934-935 una flotta di Fatimiti, sotto il comando dell’ammiraglio Yaqub-ibn-Ishaq, si presentò nelle acque della Liguria e riuscì a prendere e saccheggiare la città. Anno Domini DCCCCXXXIII, accidit in civitate Ianue quoddam terribile monstrum et infortunium, narra il cronista, poiché a Genova sgorgò il sangue da una fontana con grande abbondanza. Era il presagio sinistro della strage che di lì a poco sarebbe stata compiuta in città. La cronaca narra che la popolazione genovese fu letteralmente decimata e che la città fu coperta del sangue degli uccisi: Nam eodem anno a Sarracenis affricanis civitas fuit capta et thesauris omnibus expoliata et occisorum sanguine cruentata. L’eco dell’avvenimento si perpetuò nei secoli, al punto che quattrocento anni dopo, Ibn-Haldun, il grande storico arabo, ricordava il sacco di Genova come il supremo trionfo della marineria araba. Del tutto improbabile, secondo noi, che l’Alighieri abbia voluto alludere invece alla strage compiuta da Bruto nel corso della Guerra Civile, quando prese la città di Marsiglia dopo una sanguinosa battaglia navale: un episodio del tutto marginale di cui rimane traccia soltanto nella narrazione lasciataci da Lucano (Phars. III, 572-573). Nell’immaginario dell’uomo del Duecento doveva avere un posto decisamente più importante la pagina della Cronaca genovese del Da Varagine, autore di quella Legenda aurea che aveva un posto d’onore nella biblioteca di tutti gli intellettuali dell’epoca di Dante. 
 Anche i versi del Petrarca Folco, que’ ch’a Marsiglia il nome ha dato/ et a Genova tolto (Tr.Cup.IV 49-50), del resto, non fanno che confermare quanto abbiamo cercato sin qui di dimostrare. Folchetto viene descritto come colui che ha dato a Marsiglia quella fama e quella notorietà che in origine spettava alla città natale di Genova. Si vuole alludere con tutta probabilità al fatto che il poeta, conosciuto al suo arrivo in Provenza con il nome di Folco da Genova, finì col tempo per essere noto a tutti come Folquet de Marseille. 
 Possiamo quindi avanzare l’ipotesi che Folco, figlio di un ricco mercante genovese, sia nato a Genova e che, dopo la morte del padre, amante più della poesia che del commercio, abbia deciso di trasferirsi a Marsiglia, dove fiorivano allora celebri cenacoli di estrosi poeti che trascorrevano la vita disputandosi in versi il cuore delle belle donne. Del resto egli non fu il primo né l’ultimo Genovese a trasferirsi in Provenza per apprendere ed affinare l’arte poetica. Basterà citare l’esempio di Lanfranco Cigala e Percivalle Doria. 
 Fervente amatore, il nostro Folco cantò con passione le grazie di Azaleis de Roquemartine, la moglie di Barral du Baux, visconte di Marsiglia, presso la cui corte egli aveva preso dimora. Celebrato da tutte le corti d’Europa per le sue splendide rime, fu in rapporti con Alfonso II di Aragona, con Riccardo Cuor di Leone e con Alfonso VIII di Castiglia. Si narra che alla morte della bella Azaleis, disgustato dal fasto delle corti di Tolosa e di Castiglia in cui veniva accolto con grandi onori, ferito profondamente dalla scoparsa della sua amata, sia entrato nell’ordine dei Cistercensi  e che nel 1201 sia stato eletto abate del monastero di Torronet. Nel 1205, divenuto vescovo di Tolosa, perseguitò con ferocia gli eretici Albigesi, al fianco del conte di Montfort. 
 Restano di lui 27 Canzoni, per la maggior parte di soggetto amoroso. Dante era un suo ammiratore sincero e ne ha tessuto le lodi nel De vulgari eloquentia, citando la canzone Tan m’abellis l’amoros pensamen come esempio illustre di stile “sapido venusto ed anche eccelso”.

agosto 2001